Per due settimane mi sono accarezzata la pancia.
Mi sono sdraiata e ho infilato le mani sotto la maglietta, timidamente, e le ho poggiate sul mio ventre, alla ricerca di un segnale.
Ho cercato di sentire energia, conforto, rassicurazione.
Ho cercato di capire se il mio corpo mi stesse tradendo ancora, se potessi riconoscere qualche segnale.
Sono circondata da donne che dicono di essersi immediatamente rese conto della gravidanza, di aver percepito il cambiamento, il segnale che la nuova vita emetteva.
Mi sono accarezzata la pancia, e chiudendo gli occhi ho cercato di sentire, di ascoltarmi.
Passo ogni mese le stesse fasi:
Tragedia durante le mestruazioni; eccitazione mista a paura durante i primi 15 giorni, angoscia e ricerca di un segnale nei restanti 14 giorni.
Giorno più, giorno meno.
Mi sono toccata il seno, perché tutte dicono che è il primo cambiamento riconoscibile.
Mi sono guardata allo specchio, osservata, indagata.
Mi sono annusata.
Mi sono immersa nei miei pensieri, nelle mie emozioni e percezioni.
Come tutti i mesi il mio seno si è prima gonfiato, poi sgonfiato.
Il mio corpo è rimasto lo stesso, non mi ha ingannata, ma mi sono illusa di non riuscire a vedere il cambiamento, la novità. Ho pensato di essere io quella che non capiva. Ho sperato di esserlo.
Mi sono accarezzata la pancia, ma anche questo mese questa pancia non è un nido, non è una culla, non è un rifugio.
È una pancia, la mia pancia.
E dopo aver pianto in bagno, per l’ineluttabile arrivo delle mestruazioni, ho ingoiato le lacrime, per ricominciare un nuovo mese con una nuova stimolazione.
Sono quasi due anni che “aspettiamo di aspettare”.
Questa è la quarta stimolazione ovarica che inizio.
La mia pancia è sempre qui, che aspetta.