VivEndo: il coraggio di raccontarsi e raccontare l’endometriosi

 Il 23 Novembre scorso si è tenuto, all’auditorium Berretta Rossa di Soci, il primo evento di sensibilizzazione sull’endometriosi in Casentino che ha visto coinvolto un energico ed eterogeneo team composto da artisti, personale medico e pazienti che, insieme, hanno cercato di raccontare che cosa sia questa malattia, ancora sconosciuta a molti e che fa paura.

In questa intervista Anna Lisa Barducci ci racconta come è nata l’idea di organizzare questo incontro, narrandoci anche la malattia dal punto di vista di una persona che ci convive da tutta la vita e che riconosce la necessità di una maggiore conoscenza.

Può raccontarci la storia e le motivazioni che si nascondono dietro a questa iniziativa e chi sono i suoi protagonisti? «L’idea iniziale è partita da Marco Acciai, noto fotografo nel Casentino, che aveva espresso il desiderio di fare una mostra che raccontasse di donne che soffrono di endometriosi. Essendo a conoscenza della mia malattia, Marco mi ha contattata chiedendomi di partecipare come modella, ma io, in quel momento, ho rifiutato. La mia scelta non era stata dettata dalla paura o dalla vergogna per la malattia; l’endometriosi è una patologia la cui diagnosi può richiedere molti anni, soprattutto se si proviene da un paesino di una valle e in quel momento stavo ancora troppo male per poter prendere parte a un simile evento. La mia risposta è cambiata dopo che mi sono sottoposta a una isterectomia radicale che ha alleviato i sintomi migliorando il mio stile di vita. Il progetto di Marco stava continuando e decido quindi di accettare la sua proposta. Soffrendo io stessa di endometriosi ho molti contatti, quindi mi sono offerta di aiutarlo a trovare altre modelle dato che lui stava facendo un po’ fatica, anche perché molto spesso ragazze e donne con endometriosi tendono a nascondere la propria malattia. Fra le mie conoscenze, siamo riusciti a trovare altre modelle e alla fine eravamo in 15, tutte provenienti da varie province della Toscana. A quel punto decido di proporre a Marco di fare qualcosa di più, di allargare la mostra e renderla un vero e proprio evento di sensibilizzazione facendo riferimento anche al personale medico più esperto nell’ambito di questa malattia».

Quindi, se ho capito bene, l’evento è stato organizzato principalmente da lei e Marco Acciai, giusto? «Esatto. Marco è stato molto bravo nel gestire la parte più artistica della mostra, io mi sono occupata poi della parte relativa alla malattia di per sé e alla sensibilizzazione, avendo conoscenze con i medici che operano nel fiorentino e al Centro Endometriosi di Siena. La mia intenzione era quella di coinvolgere un ampio team medico, trattandosi di una malattia che non si limita solo all’ambito ginecologico e che necessita anche di un supporto psicologico, nutrizionale e legato all’aspetto sessuale. Per motivi logistici, però, all’evento erano presenti “soltanto” la Dottoressa Chiara Pagliai (nutrizionista), la Dottoressa Elisabetta Pesci (psicologa), la Dottoressa Fulvia Ranieri (ginecologa), il Professor Enrico Zupi e la Dottoressa Lucia Lazzeri da Siena, la Dottoressa Marzia Sandroni in qualità di referente regionale e il vicepresidente dell’associazione A.L.I.C.E. ODV, che ogni anno organizza la marcia per l’endometriosi a Roma. Avevo anche contattato Giulia Sorrentino, una nota influencer che soffre di endometriosi che però non è riuscita ad esserci e quindi ci ha inviato un video perché ci teneva comunque a portare la sua testimonianza».

Come era strutturata l’iniziativa e quale era il messaggio che volevate trasmettere al pubblico? «Il nostro obiettivo era quello di sensibilizzare le persone sull’endometriosi e far raccontare la malattia a chi, con essa, ci convive ogni giorno. A questo scopo, ciascuna modella indossava una maglia bianca sulla quale c’era scritta una parola che per lei rappresentava il rapporto con la malattia e l’influenza che ha nella sua vita. Io, ad esempio, avevo scritto pregiudizio. Altre ragazze avevano le parole: paura, maternità, resilienza, ma nessuna di noi aveva scelto la parola dolore, perché in realtà l’endometriosi è molto più del dolore che si prova. Affinché le persone presenti potessero capire la condizione di coloro che vivono con l’endometriosi e il perché questa malattia non sia soltanto fisica, era necessario spiegare la scelta delle parole e in questo ci hanno aiutato Alessandra Aricò, che ha interpretato i nostri testi e Rossana Farini, che invece ha mediato la parte medica. Il risultato finale è stato davvero bello: non si è trattato dell’endometriosi di per sé, anche se questa è una cosa che vorrò fare in futuro, ci siamo concentrati sul percorso psicologico e umano delle persone affette. È stato bello perché quello che noi volevamo era semplicemente essere ascoltate, dato che molto spesso ci sentiamo incomprese anche dal personale medico, e in questa occasione ci siamo riuscite. L’endometriosi è una malattia con una diagnosi molto lunga e difficile. La donna diventa una cosa sola con il dolore che viene accettato e conseguentemente normalizzato, ma normalizzare il dolore di una donna è sbagliato. Ascoltare Alessandra che raccontava le storie delle modelle presenti è stata quindi l’occasione per i medici per comprendere che un ascolto attivo delle pazienti può aiutare a prevenire determinate situazioni e che questo è ciò di cui le donne hanno bisogno»…

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