5 Anni, qualche mese ed una manciata di giorni

Ho 30 anni, anno domini 2010 e una mattina mi sveglio con la consapevolezza di volere un figlio. Ne parlo con il mio compagno, che da un annetto non aspetta altro. Attende che io sia pronta come lo è lui. Quindi via…..ci godiamo la gioia della ricerca, l’aspettativa, il figurarsi il momento del test positivo….come dirglielo, quando, prendergli un regalino?

I primi mesi passano tranquilli, ok che tutti gli altri restano incinta al primo colpo, ma siamo seri…le statistiche per la mia età parlano di circa 6 mesi. Sei mesi che passano inesorabili senza nemmeno un ritardo e allora, complice la visita di controllo dalla ginecologa, le chiedo consiglio e lei mi dice di portarmi avanti facendo qualche esame. Esami che sono perfetti. Come la mia ovulazione, come gli ormoni, il collo dell’utero, la pressione, la coagulazione e chi più ne ha più ne metta.

Passano altri mesi, e il mondo intorno a me procrea. Amiche che postano ecografie sui social, amiche che non senti da mesi che ti chiamano per darti la buona novella, donne che ti dicono scocciate che loro non lo volevano ma sai com’è…è bastata giusto una volta senza preservativo e Bomba!!! Subito incinta.

Ed io ascolto, sorrido e qualcosa dentro di me, lentamente, si lacera. Discorso dopo discorso, parola dopo parola, qualcosa si strappa ed io non so come rimettere insieme i lembi.

Intanto, dopo che mi sento dare della nevrotica dal medico di base: “Dica a sua moglie di rilassarsi e vedrà che rimarrà incinta”, parole dette al mio compagno quando gli ho imposto di fare uno spermiogramma [nel 2010 in Italia ancora si pensa che tutto dipenda dalla capacità della donna di rilassarsi, quindi è sempre e solo colpa della psiche della donna. Non si concepisce che possano esserci dei problemi fisici. Andiamo bene. Pieno medioevo], continuo ad avere un meraviglioso, abbondante ciclo mensile. E comincio, disperata come sono, a convincermi che davvero sia un mio problema mentale.

Questo fino a quando il primo giugno del 2011 non abbiamo tra le mani il risultato dello spermiogramma, che evidenzia un numero elevato di spermatozoi ma non certo performanti e anche piuttosto malconci. Quindi non sono pazza ma abbiamo un problema da affrontare, qualcosa su cui lavorare ed investire le nostre energie. Energie che in realtà non credo di avere perché sono psicologicamente a pezzi e non so ancora che il peggio è dietro l’angolo ad aspettarmi.

Lasciamo passare un’altra estate fatta di annunci di gravidanze, sofferenza repressa, incomprensioni coniugali e riserbo per una situazione che non so ben comprendere io….figuriamoci spiegarla agli altri.

Da settembre 2011 in poi il mio corpo non mi appartiene più. Visite ginecologiche, esami del sangue, isterosalpingografia, fatta in pausa pranzo e poi di corsa al lavoro perché ho già preso millemila permessi e non posso tirare troppo la corda. Come al solito tutto ok. Tutto bene. Io sono a posto.
Il mio compagno si fa operare di varicocele, ma la situazione non cambia, quindi andiamo da uno dei migliori andrologi di Milano il quale ci dice che sì, ok che lo spermiogramma non è bellissimo ma che comunque sono giovane e, esami alla mano, avrei già dovuto ottenere la tanto agognata gravidanza.

Basta procrastinare, ci mettiamo in cura in un centro PMA pubblico abbastanza comodo sia da casa che dal lavoro….e giù nuovamente esami su esami, soldi che escono dalle nostre tasche e che vanno in tamponi e stick ovulatori. Lentamente divento un’esperta del settore. Riconosco la mia ovulazione con una precisione sconcertante, tanto che abbandono gli stick perché ormai superflui. Ovviamente il centro pubblico prevede un’attesa di circa 6 mesi prima di poter accedere alla IUI. Niente ICSI perché, come tutti mi ripetono, sono giovane e sana e gli spermatozoi se pur messi malino, dovrebbero permettere una gravidanza senza troppi problemi.

Le IUI saranno sette, tutte negative, tutte a seguito di una stimolazione ormonale fatta di punture sulla pancia, gonfiori, rabbia, frustrazione, rifiuto per me stessa e per il mio corpo che si rifiuta di adempiere al suo dovere biologico. Mi spengo, mi chiudo, creo un mondo privatissimo e ristrettissimo nel quale sto bene, una specie di giardino d’inverno nel quale mi rifugio sempre più spesso.

Se non fosse per una carissima amica e collega, anche lei alle prese con gli stessi problemi, ma determinata a non intraprendere il percorso PMA, probabilmente impazzirei.

Invece lei c’è sempre, mi ascolta, mi capisce, sopporta il mio crescente cinismo, le mie lacrime. E’ a tutti gli effetti la mano a cui mi appiglio per non crollare. Mi protegge dal mondo esterno, fa scudo, è quella che si può definire a tutti gli effetti, una vera amica.

Ed io scopro cosa sia la rabbia, sono perennemente arrabbiata con il mondo, con la gente, il sole, la luna, i fiorellini, sono arrabbiata prima di tutto con me stessa, con il mio compagno e con il destino. Non riesco a ragionare razionalmente. L’infertilità governa ogni attimo della mia vita.

Intanto gli anni passano, il rapporto con il mio compagno si logora sempre di più e a Giugno 2014 passiamo alla prima ICSI. Undici giorni dopo il transfer mi arriva il ciclo. Piango in ufficio, piango mentre faccio le beta, mi sembra di saper fare solo questo. Piangere e sminuirmi. Era una biochimica, ma mentre il ginecologo del centro pensa sia comunque un risultato da tenere presente, io lo vivo come l’ennesimo fallimento. Mi crogiolo nella disperazione perché penso che sia l’unico modo per poterla davvero superare.

Non ce la faccio più.

Voglio smettere, voglio tornare alla mia vita di prima, voglio essere lasciata in pace. Sono stufa di esami, tamponi, controlli, iniezioni, litigate, sofferenza. Basta. Non voglio più massacrarmi di farmaci ed esami quando non ho alcun problema, e sono stanca di sentirmi inadeguata.

Eppure il mio compagno insiste. “L’ultimo, facciamo almeno l’ultimo tentativo”. Non voglio ma spinta anche dai compagni di forum (mi sono iscritta ad un forum sull’infertilità che mi ha letteralmente salvata dalla disperazione più nera) decido di fare l’ultimo tentativo. Ed è la stessa cosa che dico risoluta al colloquio con il ginecologo del centro. “Non ce la faccio più, questa è l’ultima volta”. Il gine mi asseconda e mi propone di abbinare agli ovuli di progesterone usati nel post transfer precedente, anche iniezioni di progesterone e pastiglie di cortisone. Accetto scazzata come non mai.

Il giorno del transfer la biologa entra sorridente e mi dice che di ovuli solo due erano idonei ma che gli embrioni risultanti sono stupendi, estremamente vitali e con ottime probabilità di impiantarsi nel mio meraviglioso e sempre perfetto utero.

Dieci giorni dopo vado a fare le beta con il solito atteggiamento di sconfitta che ormai mi appartiene. Passo la giornata come uno zombie in attesa della sentenza di morte, ho i sintomi da preciclo e sono fermamente convinta che tutto sia perduto. Le mie colleghe che conoscono la situazione mi stanno vicino, cercano di distrarmi e attendono preoccupate il risultato. Alle 17 arriva il pdf del laboratorio analisi.

200.2

Apro e chiudo il documento una decina di volte, convinta di aver visto male. Poi scoppio a piangere, ma non un pianto silenzioso, uno di quelli a singhiozzo con tanto di spalle che tremano e versi disumani. Una mia collega accorre convinta del peggio, mi porta in una sala riunioni per consolarmi e quando le dico il valore mi abbraccia  e piange anche lei.

Con il mio compagno decidiamo di festeggiare in serata ed invece siamo così stravolti e provati dagli ultimi 5 anni che crolliamo sul divano alle nove, senza nemmeno la forza di condividere la nostra gioia.

Le seconde beta sono più che raddoppiate e alla prima eco si vedono due camere, una con embrione e battito, l’altra vuota. Il 24 dicembre corro al pronto soccorso per delle perdite (e nel viaggio perdo 10 anni di vita) e scopriamo che tutto va bene, a volte capita, e che gli embrioni sono due e stanno benissimo.

La gravidanza è durata 7 mesi (sì, i bambini sono nati prematuri, abbiamo fatto anche l’esperienza della TIN ma questa, è decisamente un’altra storia), sette mesi tutto sommato tranquilli, fatti di paure e gioie, di fame profonda, di scoperte e preoccupazioni, sempre la consapevolezza che nulla ti è dovuto e che sei stata fortunata, che sei stata scelta dal destino, che la gravidanza non è scontata e che va vissuta come grandissimo dono.

L’infertilità mi ha cambiata profondamente, mi ha fatto conoscere una parte di me che avrei preferito non incontrare mai e mi ha fatto capire che sono più forte di quello che credevo. Mi ha aperto gli occhi sulla gente che ho frequentato per anni, illuminandomi su quanto futili e vuoti fossero alcuni di loro. Ho imparato a discostarmi da ciò che mi fa soffrire e a crogiolarmi in quello che mi fa stare bene.

Ho tante ferite aperte che ancora non si sono rimarginate e che non so nemmeno se lo faranno mai, ma anche loro fanno parte di me, di quella che sono diventata, ed ho imparato ad accettarle con tenerezza, una tenerezza che non sapevo nemmeno di avere.

 

 

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