In Italia un bambino su trenta nasce con la procreazione medicalmente assistita (Pma): l’età sempre più alta degli aspiranti genitori fa si che le coppie debbano ricorrervi nel 12-14% dei casi.
Se ne è parlato al Congresso nazionale sulla procreazione medicalmente assistita, a Firenze, partendo da un dato allarmante sulle nascite nel nostro Paese: nel 2018 sono state 449mila (9mila in meno rispetto al 2017 e 128mila in meno rispetto al 2008). Il trend negativo della natalità è iniziato nel 2008, quando è stata toccata anche la punta più alta di nascite dal 2001 in poi, con 576.659 parti. Da allora sempre meno, sino all’attuale situazione. In calo anche il numero medio di figli per donna: 1,32 è il dato del 2018, il dato peggiore dal 2004.
Politiche di supporto
«Oggi la fecondità è più alta in Svezia, Francia e Regno Unito, piuttosto che in Italia, Spagna e Polonia. In questi Paesi si sono adottate politiche di informazione e sostegno alla coppia, alla donna in particolare, che in Italia non esistono ancora – spiega Mario Mignini Renzini, direttore del Centro di Medicina della Riproduzione Biogenesi e Responsabile dell’Unità Operativa di Ginecologia presso gli Istituti Clinici Zucchi di Monza -. Più che un cambiamento culturale, alla base di questa riduzione ci sarebbe una motivazione economica. La fecondità, infatti, tende a diminuire quando le donne entrano in massa nel mercato del lavoro, ma poi inizia ad aumentare di nuovo se e quando la società si muove verso l’eguaglianza di genere. È importante, quindi, che le donne partecipino alla sfera pubblica, che gli uomini si interessino al lavoro domestico, e che siano attuate politiche di supporto ai genitori nella conciliazione tra lavoro e famiglia».