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Oltre le storie: intervista ad Andrea Rosselli

Lo spazio di oggi della rubrica #oltrelestorie è dedicato ad Andrea Rosselli, autore del libro Volevo diventare papà. Storia di un sogno e di una lotta d’amore, pubblicato dalla Casa Editrice Mammeonline.  Un libro diverso dal solito, proprio perché scritto da un uomo, che non ha alcuna intenzione di paragonare il dolore dell’infertilità  tra uomo e donna ma vuole solamente offrire un diverso punto di vista.

 

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Ciao Andrea, il tuo libro Volevo diventare papà, racconta la dolorosa avventura ospedaliera di Andrea e Paola finalizzata alla fecondazione assistita. Com’è nata l’idea di pubblicare un libro?

L’idea è nata nel momento in cui quella gravidanza cercata per dieci lunghi anni si stava finalmente concretizzando, dopo mille tentativi falliti e due aborti spontanei. Da tempo, complice la mia passione per la scrittura, tenevo una specie di diario personale, una sorta di “sfogatoio” nel quale riversavo tutte le mie speranze, gioie, delusioni, frustrazioni, e che utilizzavo come mezzo di auto-terapia per elaborare quello che vivevo come un vero e proprio lutto, un lutto che si rinnovava ogni mese. Da lì a riordinare quegli appunti un po’ sparsi, e trasformarli in un libro, il passo è stato breve. E il mio solo e unico obiettivo era quello di dar forza, quella grande forza che nasce dalla condivisione e dalla comprensione, e possibilmente un po’ di speranza, a chi aveva attraversato il nostro stesso calvario.

Raccontare il mondo dell’infertilità attraverso un viaggio autobiografico, dalla parte meno conosciuta, quella maschile. Quanta consapevolezza e sensibilità c’è da parte degli uomini sui problemi legati all’infertilità? Credi che rappresenti ancora un tabù?

Questa è una risposta difficile, perché si tratta di un tema troppo soggettivo. Probabilmente a soffrirne di più sono gli uomini con una spiccata sensibilità femminile, e ne conosco tanti. Piuttosto, quello che mi sento di dire (per le esperienze che ho vissuto) è che a mancare da parte maschile è proprio un’adeguata consapevolezza, intesa come profonda condivisione delle tematiche e dei problemi che portano all’infertilità, e quindi come volontà d’indagare sulle cause, e che solitamente vengono lasciati all’iniziativa dell’aspirante mamma. Ma indipendentemente da come lo si vive, c’è sicuramente un problema atavico da parte degli uomini nel manifestare il proprio disagio al riguardo, magari per paura che venga interpretato come un segno di debolezza.

Proviamo a sfatare un mito. All’interno della coppia, la donna sembra subire in modo più pesante l’impatto psicologico dell’infertilità, secondo te è effettivamente così?

Come ho scritto nel libro, un uomo può avere il desiderio di paternità più forte che si possa immaginare, ma non potrà mai immedesimarsi nel dolore e nella frustrazione di chi quel figlio sogna di farlo crescere dentro di sé. E comunque il maggiore impatto psicologico sulla donna dipende anche da ciò a cui deve sottoporsi dal punto di vista fisico, le cure e tutto il resto: e anche qui, devo dire che molti, troppi uomini sono restii a sottoporsi a loro volta agli esami che spesso si rendono necessari, quasi come se rifiutassero a priori la possibilità di essere causa del problema, o parte di essa. Piuttosto, credo il desiderio di paternità debba avere quantomeno la stessa dignità sociale, se mi passi il termine, mentre ho l’impressione che troppo spesso, nel comune sentire, venga relegato in secondo piano.

Che consiglio daresti a quelle coppie che oggi attraversano il percorso della fecondazione assistita?

Non lasciarsi scoraggiare dai primi fallimenti, non permettere che questi creino divisioni e contrasti all’interno della coppia, non accontentarsi mai di un solo parere, e soprattutto combattere come leoni per il proprio sogno. Perché chi lotta non perde mai.

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