Un nuovo appuntamento di #oltrelestorie, la rubrica di ParoleFertili dedicata all’approfondimento e alle interviste agli autori. Abbiamo fatto qualche domanda a Cristina Zuppa, autrice del libro “Il mio ginecologo è nato il 17 marzo”, edito dalla casa editrice Mammeonline – Matilda Editrice.
Ciao Cristina, il tuo romanzo “Il mio ginecologo è nato il 17 marzo” è un diario personale in cui racconti della scoperta dell’infertilità e del tuo percorso di fecondazione assistita. Cosa ti ha spinto a narrare queste vicende all’interno di un libro?
La scrittura è per me un modo semplice di mettere ordine nelle cose, per capirle. Del periodo trascorso alla ricerca di una gravidanza avevo ricordi intensi, ma tutti legati in un unico nodo confuso, indecifrabile, la sensazione di qualcosa che mi aveva profondamente cambiata. Scriverne mi ha aiutato, in parte, a capire tutto quello che era stato.
Nel libro, uscito nel 2008, racconti del tuo percorso di PMA cominciato nel 2003. Cosa è cambiato da allora nella tua vita? Credi che questo percorso ti abbia, in qualche modo, trasformato?
La mia vita è cambiata al punto che quasi stento a riconoscermi nella persona che ero. L’esperienza della PMA con tutti i suoi ostacoli, le sofferenze, ha fatto emergere una parte di me che non sospettavo esistesse: forte, capace, resiliente. Ma il vero cambiamento è arrivato dopo, via via che da quella esperienza mi allontanavo. Il fallimento della PMA e il divorzio da mio marito sono stati eventi “imposti”, mi sono trovata a fare i conti con qualcosa che non avevo scelto io. Ma passati i primi mesi di disorientamento sono uscita da quella sorta di incantesimo che non mi faceva vedere quanto fosse malato il rapporto di coppia che avevo con mio marito, quanto sbagliata in queste condizioni la ricerca di un figlio. Non la PMA, intendiamoci, quella è solo una tecnica, un modo come un altro per procreare. Era proprio volere un figlio in un rapporto non sano ad essere sbagliato. Volere un figlio per fuggire la vita, questo era sbagliato, e folle. Non me ne rendevo conto, allora, e forse non volevo veramente “vedere”. Ora però non posso fare a meno di vedere con chiarezza. Resta il rimpianto di non aver visto prima, certo, di non avere avuto l’opportunità di vivere dall’inizio rapporti affettivi veri e sani. Ma l’aver riscoperto, sia pure in ritardo, questo mondo di bellezza, passione, affetti, che per tanto tempo mi ero negata, è felicità sufficiente ora. Il modo poi in cui la mia vita è materialmente cambiata è solo l’effetto visibile di questo movimento interno. Mi sono avvicinata alla musica, ho sviluppato una passione per il jazz, ho cominciato a suonare il sax, a livello amatoriale; mi sono dedicata alla fotografia, fotografo concerti jazz, persone, paesaggi… porte e finestre! E di recente ho cominciato a scrivere interviste di persone che mi incuriosiscono e che mi piacciono. “Faccio cose e vedo gente”, mi verrebbe da dire, parafrasando Nanni Moretti. Ma non è tanto il fare cose, la differenza con la vita precedente. È il movimento invisibile, quello interno a fare la differenza. Passione, desiderio, curiosità. Vita.
Quale che sia stato il suo esito, cosa senti di comunicare alle donne che si avvicinano per la prima volta alla PMA? Qual è l’approccio giusto con cui affrontarla?
La PMA è, come dicevo prima, solo una tecnica medica. Pesante, faticosa, impegnativa sotto tutti i punti di vista. Sfrondarla da ogni significato ulteriore, considerarla per quello che è, un modo diverso di procreare, aiuta a superare gli inevitabili momenti di sconforto. L’importante è il rapporto di coppia che c’è dietro. Qualsiasi coppia, non ne faccio una questione di genere. Spesso si sentono racconti di rapporti distrutti dalla PMA. E la mia storia potrebbe sembrare il caso. Ma non è così, quando le cose in un rapporto non vanno, non è per cause materiali, esterne. Ci sono motivi profondi preesistenti. L’approccio giusto quindi a mio parere è una buona dose di onestà, con sé stessi e con l’altro. Niente paura e… allegria, che ci sta sempre bene!