Io me lo ricordo il giorno in cui ho deciso che avrei voluto diventare mamma.ottobre 2014, sposata da un mese. Mio marito Andrea aveva sempre parlato di figli e bambini anche prima che ci sposassimo, entusiasta all’idea di avere piccoli cuccioli per casa. Anche io mi sono sempre immaginata mamma. mi sono sempre piaciuta le famiglie “abbondanti, generose ed ingombranti”, parafrasando una canzone di qualche anno fa. però non subito dopo il matrimonio: prima, nella mia testa, avrei voluto vivermi un pò la coppia, essere solo marito e moglie, fare tutte quelle cose che una volte che ci sono i bambini non puoi fare più o magari puoi fare meno. e invece, ad un mese circa dal matrimonio, ho sentito che il momento era arrivato. e mi ricordo il momento esatto: un tardo pomeriggio di ottobre, caldo, con un cielo terso e azzurro senza nuvole. ero a Verona, la mia amata città del cuore, ero vicina alla stazione del treno, stavo per tornare a casa dopo una giornata passata in università dove stavo lavorando per conseguire un dottorato. ero felice, soddisfatta, al posto giusto. Verona e l’università erano il mio posto nel mondo e sentivo che stavo, passo dopo passo, avvicinandomi ai miei sogni. come un’illuminazione, ho sentito che ero pronta, che volevo un bambino, volevo essere mamma. e sono scoppiata a ridere da sola, camminando felice verso la stazione del treno che mi avrebbe riportato a casa, da mio marito, nella casetta che avevamo preparato insieme con tutto l’amore di cui eravamo capaci.
Ma, come si suol dire, tra il dire e il fare c’è di mezzo e il mare e tutti i miei entusiasmi si sono piano piano smorzati ogni mese, quando il ciclo arrivava inesorabile. nonostante i calcoli sul calendario, nonostante gli stick per individuare il picco di fertilità. nonostante lo volessimo con il cuore, con l’anima. nonstante le preghiere, le candele accese.
era inevitabile farci qualche domanda, chiederci perchè fosse così difficile. non ne abbiamo parlato con nessuno, io e mio marito. nemmeno con i nostri genitori. ci siamo tenuti il nostro dispiacere e le nostre speranze, cullandole come un segreto. i primi accertamenti, con uno spermiogramma costosissimo, hanno sancito che mio marito aveva pochi spermini buoni, anzi. ne aveva pochi e pure un pò scarsi. Ma Andrea ha sempre avuto la testa dura e ha voluto rifare l’esame, quasi si sentisse che qualcosa di sbagliato c’era. e infatti, un nuovo test ha invece descritto una situazione di assoluta normalità. il primo risultato era il frutto di un’infezione da fuoco di sant’Antonio che aveva alterato tutti i valori. Per scrupolo, ha rifatto il test una terza volta e tutto era perfetto. Nel frattempo avevo cambiato ginecologo perchè il primo, oltre a una sfilza di doverosi esami da fare, era stato duro, severo, insensibile. e non era quello di cui avevo bisogno. fino a incappare in una dottoressa fantastica, un angelo, una donna con un cuore grande come una casa e che fa il suo lavoro con tutta se stessa, con dolcezza, sensibilità, passione. con lei ho fatto anche un paio di esami dolorosi come l’isteroscopia e l’isterosonoscopia (se non sbaglio)… e il risultato è che il problema ero io, o meglio, le mie tube: una apparentemente aperta e una apparentemente chiusa. apparentemente. tramite la dottoressa, ci siamo rivolti al centro PMA dell’ospedale di Manerbio e lì ci hanno spiegato al trafila, lunga, in salita, tortuosa, per arrivare ad avere un figlio in braccio. Credo sia inutile spiegare il groviglio di emozioni e sentimenti che accompagnano un percorso come questo. Ma una cosa la voglio dire e sottolineare: mi sono sentita una donna a metà. che donna è quella che non è in grado di mettere al mondo un figlio? la donna, creata con questo privilegio, deve riuscirci se lo vuole. mi guardavo allo specchio e mi vedevo completa, una donna a tutti gli effetti: con un bel seno, i fianchi morbidi, un ventre già arrotondato di natura. ero soddisfatta di me, dei miei traguardi, della vita che stavo costruendo. ma dentro, nelle viscere, qualcosa mi impediva di mettere al mondo un figlio, come tutte, come milioni di donne. e allora che donna ero? una donna molto amata, sicuramente, da un marito che non ha mai smesso una sola volta di guardarmi come se fossi la cosa più bella della sua vita. e così, tra una lacrima e l’altra, mentre attorno a me le mie amiche diventavano mamme nel modo più naturale possibile, io e mio marito abbiamo iniziato a conoscere come le nostre tasche la PMA di Manerbio. in teoria sapevamo tutto: i nomi delle punture di ormoni, quando farle, per quanto tempo; come funzionava il pick up e poi il transfer.
ma la teoria è una cosa, la pratica un’altra. e la pratica fa decisamente più male: il buco sulla pancia della puntura di soppressore e il buco alla sera di stimolazione. e così via, per un mese circa, sempre allo stesso orario. e poi il pick up: andare in sala operatoria e farsi un’anestesia generale per avere un figlio… assurdo solo a pensarci! eppure, così è se vi pare, direbbe Pirandello. e mio marito sempre accanto, sempre a dirmi che ero bellissima anche con la pancia piena di ematomi, la cuffia verde e il camicione per scendere in sala operatoria. e dopo, rintronata dall’anestesia, dolorante. ma mi sentivo piena di vita e di entusiasmo, di gioia: avevo solo un problema alla tube, con la fecondazione si scavalcano, i miei ovuletti si sarebbero fecondati e da lì a 9 mesi sarei diventata mamma.
e lì, quando l’entusiasmo è alle stelle e senti che puoi sopportare tutto, ecco la botta, l’ennesima: nella fiala, ovuoli e spermatozio non si sono fecondati. o meglio, non sono evoluti. eccerto, perchè mica è facile fare i bambini… no? e così, in una calda mattina di giugno, i nostri sogni si sono nuovamente infranti.
“Godetevi l’estate poi ci riprovate!”, mi ha detto la mia ginecologa-angelo. e così è stato: nonostante il dolore, la delusione, la paura di riprovare, l’estate ce la siamo goduta: io, donna a metà, e il mio super marito, ci siamo persino divertiti… siamo andati al lago di Braies, volevamo tanto andarci. Lì c’è un punto del percorso dove mettere i sassi uno sopra l’altro in equilibrio ed esprimere un desiderio. il nostro era sempre quello, ricorrente, testardo e coraggioso come noi.
estate finita, di nuovo autunno e di nuovo in PMA. questa volta dosaggio più tosto e io mi sentivo sempre più spenta. ho affrontato il tutto con meno coraggio e più paura perchè sapevo, avevo provato con mano, che era tutto immensamente difficile. mi sono affidata a San Giovanni Paolo II, una candela ogni domenica. ma perdevo entusiasmo e voglia, mi sentivo spegnermi tanto che mio marito ha detto che ci avremmo provato una sola volta ancora, andasse come doveva. e se non andava, saremmo rimasti io e lui, comunque felici. ma incompleti, pensavo io, come incompleta mi sentivo.
questa volta al transfer ci siamo arrivati e ho iniziato la mia cova di due settimane prima del fatidico test delle beta. 14 giorni in cui ogni sintomo significava qualcosa e il suo contrario, 14 giorni di crampetti, seno gonfio. ma soprattutto 14 giorni pieni zeppi di speranze. e poi il test, fatto con la convinzione che tanto sarebbe andata male.
il risultato mi è arrivato via mail, alle 13, al lavoro alla scuola dell’infanzia. i bambini attorno a me giocavano e i miei occhi hanno visto un positivo 153 grande come una casa. Ho fatto vedere il test alla mia collega, che è sbiancata ed è quasi svenuta. io impassibile, fredda, incredula. troppo spaventata per pensare che ce la stavo facendo.
eppure è andata così. ho rifatto il test dopo 4 giorni, poi l’ecografia. oggi sono a 14 settimane e 4 giorni, la nausea mi perseguita, il vomito pure, la pancia si inizia a vedere. il mio fagiolino è lungo 8 cm, il suo cuore batte forte ed è la cosa più bella del mondo. ho ancora tante paure e ansie ma devo e voglio pensare positivo. ce la stiamo facendo!
se ripenso a tutto il prima a volte mi viene da piangere perchè non è così che si dovrebbero fare i figli: nessuna donna dovrebbe faticare così tanto, è quasi contro natura. ma si vede che doveva andare così.
e io non mi sento più una donna a metà. e non perchè finalmente dentro di me c’è un secondo cuore, ma perchè ho avuto forza, coraggio, speranza. tenacia. paura. a tratti mi sono sentita impavida e forte come un leone. sono donna, tanto quanto le altre. tanto quanto tutte le donne quando decidono di dare più valore alla loro vita, di mettere se stesse e i loro sogni davanti a tutto. quando tirano fuori tutta la forza che hanno dentro!