STORIA LUNGA
E’ Ottobre del 2016. Mentre facciamo l’amore io e il mio fidanzato ci guardiamo negli occhi e, senza proferire parola, decidiamo di fare il primo passo per avere un bambino. Non è stata follia, ma consapevolezza di un desiderio grande ma non ancora pienamente condiviso a parole. Parte da questo momento la nostra odissea per diventare genitori.
I primi mesi di tentativi sono stati sereni e spensierati, avevamo messo in conto di non riuscire al primo colpo. Ci siamo sottoposti ad esami di cd. “maternità consapevole” e abbiamo cominciato ad aspettare. Passa così il primo anno senza concepire, anno in cui la mia ginecologa storica mi diceva che queste tempistiche rientravano nella normalità e che non c’era alcun bisogno di preoccuparsi. Ma era tardi, io ero già preoccupata, quindi cambio ginecologo e mi rivolgo ad una dottoressa rinomata tanto per il suo pessimo carattere quanto per essere quasi una luminare in materia di fertilità. Dirige il reparto di medicina della riproduzione presso l’ospedale della nostra città e credo di essere in buone mani. Dopo il primo colloquio iniziamo a fare una serie infinita di controlli: esami genetici, ormonali, spermiogramma. Viene riscontrato un varicocele di IV grado al mio compagno, nel 2017 si sottopone ad intervento chirurgico e inizia una terapia per implementare la produzione e la qualità del suo seme.
Tiriamo un sospiro di sollievo: la causa della nostra infertilità è stata individuata (così ci dicono), basta fare un po’ di terapia e il gioco è fatto. Ma niente, passano altri mesi e puntualmente il mio ciclo è lì, rosso e vivo, a ricordarmi che ancora per me non è il momento di essere madre. I miei sentimenti predominanti diventano sconforto e delusione, mi accompagnano ogni mese per mesi, fino a trasformarsi in rassegnazione.
Le cure del mio compagno non sortiscono alcun risultato positivo, anche se lo spermiogramma è migliorato. Nelle more io ho già fatto isteroscopia e isterosalpingografia, che non hanno rilevato alcuna problematica.
Allora perché non resto incinta?
Ci imbottiamo di integratori per la fertilità, conduciamo uno stile di vita sano, sono attenta alla mia ovulazione,facciamo analisi e controlli periodici, ma niente. Passa un altro anno.
Tutto diventa nero, tutto diventa buio. Io divento buia. Il sorriso che mi ha sempre contraddistinto sparisce, il mondo intorno a me cambia colore. Sono frustrata.
È il 2018 quando decidiamo di sposarci e decidiamo di vivere questo momento con spensieratezza. Metto da parte la mia ossessione (perché questo era diventata) di avere un figlio e sospendo temporaneamente i controlli periodici, voglio godermi questo momento felice della mia vita di coppia. “Se siamo destinati ad avere un bambino arriverà”, proviamo a vederla da questa prospettiva. Programmiamo il matrimonio per l’anno successivo e quando abbozziamo la lista degli invitati sorridiamo ironicamente del fatto che non ci siano bimbi piccoli. Sarà un segno del destino?? No, assolutamente no: il giorno delle nozze c’erano ben 11 passeggini! Undici! Il mio momento felice si trasforma in buco emotivo profondissimo, scavato goccia a goccia. La prima lieta novella arriva da mia cugina, persona per cui nutro un affetto fraterno. Mi comunica di essere in attesa quando le chiedo di farmi da testimone. Sapeva della mia ricerca di una gravidanza e non sapeva come dirmelo. Mi crolla il mondo addosso. Gioisco falsamente per lei e condivido falsamente la sua euforia. Per fortuna abitiamo in città diverse e tutto si è svolto per telefono. Chiudo la chiamata e vomito. Sono stata pervasa da un senso di invidia immotivato e ingiustificato. Perché lei si ed io no? Fatto sta che non sono stata capace di essere felice per lei. Non ci sono riuscita e ancora me ne vergogno terribilmente.
La seconda lieta novella arriva da una delle mie più care amiche. Lei è una neo sposina, anche lei è in attesa e mi confida di non volere il bambino. È devastata dalle lacrime, le stesse che io verso ogni mese all’arrivo del ciclo. Non sa cosa fare, il senso del dovere le impone di tenerlo ma non era il momento giusto per lei, voleva godersi la vita matrimoniale. Per la prima volta nella mia vita ho provato disgusto per una persona. A seguire, nel giro di qualche mese, sono arrivate altre 9 notizie di gravidanza.
L’ossessione di avere un bambino torna più presente e costante di prima, non riesco a pensare ad altro, sono circondata da parenti, amiche e colleghe gravide, per strada tengo il conto di quanti pancioni e passeggini vedo ogni giorno, osservo il viso felice e disteso delle mammine pancine e mi sembra di impazzire. Comincio anche a soffrire di dissenteria causata da uno stato di stress e nervosismo notevole. È durata 6 mesi circa e per 2 mesi non mi sono potuta consentire nemmeno una passeggiata. Arrivo al matrimonio visibilmente dimagrita.
Passato questo altro periodaccio, in cui di una gravidanza nemmeno l’ombra, decido di riprendere il percorso medico lasciato in standby. La ginecologa cambia improvvisamente direzione, niente più integratori ed attese: senza tante spiegazioni mi propone direttamente una IUI, ma non mi fornisce informazioni esaustive ed adeguate a riguardo. Chiedo delucidazioni e glissa. Mi tratta male per non esser stata costante nell’iter iniziato anni prima (che è consistito solo nell’assunzione di integratori e qualche monitoraggio), mi fa sentire una donna sbagliata e non meritevole della maternità. Ma non è così. La mollo e mi metto alla ricerca di un professionista con la P maiuscola, degno di essere chiamato tale, e approdo dal dott. Fulvio Zullo. È Febbraio del 2020 quando riesco finalmente ad avere un appuntamento, ma piombiamo in pieno lockdown causa covid e dovrò aspettare altri 2 mesi prima di andare a Napoli e sottopormi a visita. Dopo ben 4 anni dall’inizio del mio tormentato iter per diventare madre mi viene diagnosticata una forma di endometriosi. Scopriamo, dopo tutto questo tempo, che non era mio marito il “problema”, ma io. Ho una riserva ovarica bassissima, produco pochissimi ovuli o addirittura niente e ci viene consigliata una FIVET da fare il prima possibile con percentuali di riuscita piuttosto basse. Tutto quello che abbiamo fatto finora non é servito a niente, siamo andati in una direzione sbagliata, abbiamo fatto sacrifici inutili. Sono avvilita. Ho perso anni preziosi. Le liste per il SSN sono lunghissime e incompatibili con i miei tempi, quindi facciamo un finanziamento per affrontare un percorso privato. Conosco la dottoressa Roberta Venturella, medico empatico che mi ha sempre sostenuta ed incoraggiata in questo percorso, individua subito per me la terapia ormonale giusta, al termine della quale produco (… rullo di tamburi…) ben 3 ovuli, di cui uno solo fecondato e trasformato in blastocisti. Il mio unico faro nella notte. Nelle more cerchiamo di “sistemare” il mio problema di endometriosi e, a distanza di qualche mese, sono pronta per l’impianto. Finalmente ci siamo, penso. Ma la strada non è in discesa. 3 giorni prima di procedere, il laboratorio di analisi presso cui abbiamo sempre fatto tutti gli esami, contatta mio marito per comunicargli che agli ultimi esami era risultato positivo all’HIV e che per errore ci avevano fornito un risultato sbagliato (per poi scoprire che hanno sbagliato per un caso di omonimia e mio marito era davvero negativo!). Sappiamo bene che la cosa sia alquanto impossibile (abbiamo fatto per anni questo test ogni 3 mesi e siamo sempre stati negativi), ma siamo terrorizzati, abbiamo fecondato il nostro unico ovulo mettendolo a rischio ? Ci informiamo sulle conseguenze per l’eventuale bambino e decidiamo lo stesso di procedere all’impianto. Eventuali problemi si affronteranno in un momento successivo. Il giorno seguente, ovvero 2 giorni prima della data prevista per l’impianto, io risulto positiva alla rosolia. Annientamento totale. Lo comunico alla ginecologa che mi informa non solo che non posso fare l’impianto ma che la blastocisti è stata già avviata allo scongelamento. Vedo la mia unica speranza andare in frantumi. Sono devastata. Il giorno antecedente alla mia partenza per Napoli, per recarmi nella clinica dove ho fatto la FIVET, ho ripetuto le analisi della rosolia in 3 diversi laboratori e sono risultata negativa! Evviva, si parte. Ma non è finita qui. Il giorno dell’impianto sono risultata positiva al covid e non mi volevano far entrare in clinica. Ho dovuto insistere per ripetere il test, risultato anche questo un falso positivo. E poi, dulcis in fundo, non riuscivano ad impiantarmi l’embrione. Credetemi, nonostante fossi un’agnostica convinta, ho iniziato a pregare dalla disperazione. Una procedura della durata di 10 /15 minuti si è prolungata per oltre 3 ore. Il mio canale vaginale è a zig zag e non riuscivano a inserire la cannula perché si accartocciava su se stessa. Non vi dico cosa non mi hanno fatto per riuscirci. Ma 3 medici fenomenali, in un giorno di festa, mi hanno dedicato la loro professionalità, il loro tempo e la loro dedizione al lavoro. Non smetterò mai di ringraziarli.
Avevo perso ogni speranza, per la piega che aveva preso l’impianto mi davo già per sconfitta. Ho pensato in quei momenti che tutta questa agonia sarebbe stata inutile e vana. E invece, a distanza di 15 giorni, le mie beta sono risultate positive. Il miracolo. Una donna annientata e distrutta risorge madre dalle proprie ceneri. Oggi Mia (si chiama così) figlia è tra le mie braccia. È il frutto di sofferenza e sacrifici, di desideri mai spenti e tanta fortuna.
Sono madre anche di un altro bimbo concepito naturalmente ( e inspiegabilmente!).
Non mollate mai, credete in voi stesse, nel vostro desiderio e nel vostro senso materno. Nelle mani giuste c’è speranza per tutte. c’è luce in fondo al tunnel.