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Cronache dalla Clinica

Nel 2005 avevo 23 anni e piena fiducia nel potere della protesta e dell’informazione. Non esisteva Facebook però avevo un blog con un discreto numero di seguaci e una rete di connessioni virtuali su cui contavo molto. Fu la mia prima propaganda online. Volevo a tutti i costi che il referendum del giugno 2005, quello relativo alla legge 40 e alle “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita” avesse successo. Speravo ancora che il nostro Paese fosse abbastanza avanti per potersi dotare di una legislazione un po’ più libertaria perlomeno quando si trattasse di innalzare il tasso di natalità. D’altronde pure il mio sussidiario delle elementari diceva che in Italia si fanno pochi figli!

Avevo soprattutto argomenti personali sul tema. Due cugini gemelli nati grazie a una fecondazione in vitro, una (ormai ex) suocera che lavorava in un centro pubblico all’avanguardia nella riproduzione assistita. Mi sembrava assolutamente fuori da ogni logica che un referendum così importante cadesse nel vuoto dell’astensionismo. Eppure così fu. E ci rimasi molto male.

Nel 2012, dopo un taglio netto alla mia vita in Italia, mi sono ritrovata a vivere a Barcellona. Il fato ha voluto che il mio primo datore di lavoro all’estero fosse proprio una clinica privata di riproduzione assistita. Non è che sapessi esattamente cosa vuol dire lavorare in una clinica così. Ci sono entrata senza un briciolo di istinto materno, coi miei 30 anni appena compiuti, una crisi esistenziale sulla coscienza e una fuga da una vita italiana che sembrava andare su dei binari di cui non condividevo più la direzione.

La mia esperienza con la riproduzione assistita era legata esclusivamente al lato affettivo ed empatico della ricerca di un figlio da parte di altri. Avevo condiviso la speranza della zia che si stimolava a forza di iniezioni di Puregon e che alla fine grazie a una tecnica di laboratorio si era ritrovata con due fagiolini disegnati sulla prima ecografia; e poi sapevo del lavoro quotidiano della ex suocera, infermiera nell’ospedale in cui erano nati quei due embrioni che poi sono diventati i miei cugini gemelli. Però pochissime idee, e confuse, sul percorso di chi quel figlio lo vuole ma che non può farlo in Italia.

Nel corso dei miei tre anni di lavoro alla clinica di fertilità ho visto centinaia di coppie. Venivano da Europa, Africa e zone recondite dell’emisfero australe in un meltingpot di razze e unioni che ogni tanto mi hanno fatto domandare fra me e me ‘ma come avranno fatto a conoscersi? Coshanno in comune? Come sono arrivati alla decisione di venire a Barcellona per avere un figlio?

Ho parlato con moltissime donne italiane, di alcune sono diventata quasi una confidente.

Ero la loro “coordinatrice”, quella che chiede di essere chiamata quando arriva la mestruazione (e molte volte si sorbisce dettagliatissime descrizioni su colori e texture del flusso mestruale). Sono stata la persona che organizzava il calendario e definiva la data in cui fare l’iniezione di Decapeptyl. Quella che spiegava come inserire un ovulo vaginale (si, a volte ho dovuto spiegare anche questo…) e che sceglieva la donatrice di ovuli che assomigliasse il più possibile alla paziente che di ovuli propri non ne aveva più.

Sono stata anche la persona che cercava di consolare il loro pianto quando il valore della betahcg era inferiore a 5 e no, purtroppo nemmeno stavolta è rimasta incinta e che gioiva insieme a loro quando finalmente il test di gravidanza era positivo.

Sono la stessa persona che aveva pianto di rabbia quando il referendum del 2005 era fallito e che per tre anni ha passato otto ore al giorno a parlare di mestruazioni, inseminazioni ed embrioni con coppie speranzose di diventare genitori.

Non so ancora se sarò madre, un giorno. Ho le idee molto più confuse delle pazienti con cui ho parlato durante i miei tre anni alla clinica. Ma è anche grazie alle loro storie che ho avuto modo di imparare quanto possiamo essere forti, noi donne, e quanti sacrifici siamo disposte a fare pur di essere felici. Le “donne della clinica” mi hanno insegnato molto più di quanto immaginano: mi hanno dato un esempio di cosa vuol dire inseguire con determinazione un sogno, quello di diventare madre.

 

 

 

 

Una risposta

  1. […] fertilità e della ricerca della maternità, da qualsiasi punto di vista lo si voglia approcciare. Qui trovate la mia storia su come sono arrivata a essere un’insider in una clinica di PMA, e qui […]

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