è una vita che ci spero

Ho sempre saputo di non poter avere figli: a soli 12 anni, infatti, diagnosi di malattia genetica e ovariectomia bilaterale! Io, che fin da piccola giocavo sempre a fare la mamma con le bambole, non avrei potuto esserlo nella realtà. A quell’età si è ancora piccole e non si capisce tutto fino in fondo ma crescendo le cose cambiano, comprendo, realizzo, soffro e soprattutto spero! Si spero, perché la speranza è l’ultima a morire, così dicono. E allora a 18 anni inizio le prime visite ginecologiche e inizio ad informarmi ed ecco che vengo a conoscenza della PMA, 3 semplici lettere ma dal suono meraviglioso (almeno in quel momento). La speranza cresce di anno in anno ma inconsapevolmente quella maledetta duplice diagnosi (malattia e infertilità) mi condiziona terribilmente la vita perché mi impedisce di avvicinarmi ai ragazzi, di godere dell’amore e soprattutto di dare amore! Chi mai vorrebbe una donna incompleta come me? Non ho il coraggio di aprirmi con nessuno, di confidare le mie paure e le mie verità e allora scappo! Ma ricordo ancora benissimo quel freddo pomeriggio di gennaio quando 2 splendidi occhi azzurri hanno incrociato i miei. Finalmente mi INNAMORO, vivo mesi bellissimi e, anche se piena di paura, decido di raccontare tutto al mio ragazzo e… dopo un attimo di smarrimento iniziale decide di restarmi accanto, di vivere il nostro amore senza paure, sono felicissima! E così gli anni riprendono a passare, 1, 2, 4… allora, dico io un giorno, la facciamo questa PMA? E così ha inizio il mio vero travaglio (come se tutto quello vissuto prima non lo fosse già stato)! 2018 prima visita di coppia tutto ok, siamo giovani e sani andrà tutto bene! Manco per niente!!! L’utero non risponde alle terapie, riprovo, riprovo ancora e ancora fino a febbraio 2022 quando i medici decidono di provare cmq il transfer embrionale, unica possibilità o la va o la spacca. Seguono cosi fecondazione con formazione di 3 embrioni, impianto e beta negative!!! Disperazione totale, un sogno che si infrange e il mio compagno che resta pietrificato davanti al mio dolore, non lo regge, soffre anche lui e non siamo in grado di sostenerci a vicenda! Mi faccio forza, mi riprendo, voglio tentare con gli altri embrioni, voglio provarci fino alla fine, ma dopo l’estate però, ho bisogno di riprendermi, di riposare e godere del tempo col mio compagno. E invece no, lui è distante, è triste! È giusto coinvolgere l’altro in tutto questo, penso? Io al suo posto che avrei fatto? Desidero tanto un figlio ma tutta questa sofferenza ne vale la pena? Più volte ho pensato di fuggire, di lasciarlo libero, libero di realizzare la sua paternità ma non ne ho il coraggio e lui è ancora qui accanto a me, ma qualcosa è cambiato, lo sento! Allora mi chiedo che faccio, resto o vado? Insisto o mollo tutto? Non lo so, so solo che è una vita che ci spero ma ora non so più se c’è la faccio!

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