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Il mio primo vero tentativo dopo tanti fallimenti

Quella mattina arrivammo in clinica presto, mezz’ora prima dell’orario concordato. La sala d’aspetto era semideserta. Si procedeva in ordine di prenotazione: noi erano la prima coppia. Quei trenta minuti parvero interminabili. Non riuscivo ad arrestare il vortice di pensieri che pareva soffocarmi, facendomi accelerare il battito del cuore. E se quel ciclo di fecondazione non avesse portato a nulla? Se nemmeno attraverso la scienza sarei riuscita a realizzare il mio desiderio? Man mano che il momento conclusivo del percorso si avvicinava, le mie certezze si sgretolavano facendo sfumare quel sogno di maternità che diveniva via via più inafferrabile ed evanescente. Prendemmo l’ascensore e ci trovammo in un lungo corridoio. Un’infermiera mi fece stendere su un lettino con le rotelle e, rapidamente, procedé verso la sala operatoria. Iacopo accelerò il passo. Ci ritrovammo in una stanza luminosa.
Mi spostarono su un altro lettino. Iacopo mi teneva la mano. Nella sala c’era anche la biologa. Sorrideva. La sua voce era carezzevole, suadente. “Abbiamo sette embrioni, tre sono eccellenti, uno in particolare sembra offrire grandi probabilità di attecchimento. Gli altri quattro sono molto più lenti, contiamo di non congelare nulla.”
Quello sarebbe dunque stato il nostro unico tentativo. Se fosse andato male bisognava ricominciare tutto daccapo con una nuova stimolazione ormonale. Guardai Iacopo, poi deglutii. Respirai come se dovessi prepararmi ad una lunga apnea. Ero pronta.
Cristina accese il monitor: io e Iacopo avremo assistito in diretta al trasferimento degli embrioni. Una semplice “manovra” durante la quale dovevo restare ferma e immobile. Tutta l’ansia che mi attanagliava si dileguò non appena, sul monitor, comparvero delle minuscole bollicine: erano i tre embrioni che, lentamente, staccatisi dalla cannula, cominciarono il loro viaggio verso la vita. Pensai che quei piccolissimi e bellissimi puntini sapessero già dove andare.

Erano i miei bambini e, in quel momento, erano tutti e tre vivi.

La magia di quell’istante scacciò via la paura e, in un attimo, mi sentii felice. Avevo la mano poggiata sul ventre, volevo proteggere quei tre esserini che adesso custodivo dentro di me: pensai che quello era il primo vero tentativo dopo tanti fallimenti..

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