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Non perdere mai la speranza

Mi sposo a 27 anni e mio marito ha già una figlia di otto. Irrequieta, dal carattere difficile, molto impegnativa, innamorata del suo papà come lo sono tutte le bambine. Vive con la mamma che per lavoro ha orari complicati e per questo è spesso a dormire da noi. Decidiamo di non avere fretta di mettere al mondo dei figli, almeno finchè la situazione non si stabilizza dandole il tempo di “digerire” la nuova formazione famigliare. Tanto io sono giovane e il mio istinto materno viene proiettato su di lei. Credendo di fare il bene della bambina e quello della coppia, io smetto di lavorare e inizio a farle da babysitter. Riprese da scuola, dentista, festicciole, shopping…

Dopo un paio d’anni non prendiamo più precauzioni ma nessuna gravidanza si manifesta. Ne passano sei, di anni, e non solo io non rimango incinta ma la situazione con la ormai ragazzina è sempre più ingestibile: più io mi occupo di lei, più lei mi tratta male; a volte mi insulta malamente e il peggio è che viene sempre giustificata dal padre. La situazione in casa è spesso difficile. Nonostante io e mio marito ci amiamo sempre di più, ogni occasione è buona per litigare per “colpa” di sua figlia.

Esausta, mi rivolgo ad una psicologa che mi spiega che per tutto quel tempo io e mio marito abbiamo sbagliato completamente. Occupandomi io della ragazzina, le proponevamo un modello famigiare a tre sbagliato, formato da un padre, una figlia e io che, in pratica, mi sostituivo alla madre. Ma lei, una madre, ce l’aveva eccome! Ma così facendo, ai suoi occhi le mostravo tutto quello che, in cuor suo, avrebbe voluto che sua madre facesse per lei e che invece non faceva. E così si sfogava con me. Imparo quindi che la ragazzina mi deve vedere soltanto in quanto moglie di suo padre e quindi in sua presenza. D’ora in poi se ha bisogno di qualcuno correranno prima il papà e la mamma, poi i nonni, gli zii, i cugini o una vera babysitter. Io no.

E da quel momento riprendo finalmente in mano la mia vita. Realizzo che ormai sono anni che cerco una gravidanza che non arriva e che lo stress può sì aver fatto la sua parte ma fino ad un certo punto. Ogni mese, quando arriva il ciclo è una tortura. Inizio a fare delle analisi. Il famoso TSH che controllano è sballato e inizio a girare per endocrinologi. Chi mi dice che sono ipertiroidea e chi mi dice Una cosa, chi me ne dice un’altra. Alla fine vado a Pisa dal prof. Pinchera, nel centro più accreditato d’Italia e mi confermano che si tratta davvero di tiroidite di Hashimoto. Comincio la profilassi. E così penso di poter restare incinta. Ma niente.

Come un angelo custode, una mia cara amica che aveva avuto delle splendide gemelle, mi indica il Centro Diagnostico del prof. Ermini qui a Roma. Mi fido dei suoi consigli e prendiamo appuntamento.  Lui e il suo staff fantastici, sicuri dell’iter che devo seguire. Inizio la solita trafila di analisi stordita e in balia degli eventi. Anche mio marito. Il tempo non passa mai, finché si ferma definitivamente il giorno che mi fanno la isterosalpingografia: ho le tube chiuse. Sono distrutta. Sto male perché l’esame è piuttosto invasivo e sto male perché psicologicamente sono a pezzi. Inizio a pensare che sia un segno del destino e che forse Dio non vuole che io abbia dei figli.

Mi faccio confondere da quello che la Chiesa dice in materia e non so se la fecondazione in vitro sia la cosa più giusta da fare. E poi c’è il tema del congelamento degli embrioni. Oddio siamo nel panico! Poi parlo con dei medici che mi dicono che con quasi certezza io ho le tube chiuse per colpa di quel macellaio che mi ha operato di appendicite quando avevo solo 17 anni. Tre ore di intervento, tutte le budella tirate fuori e poi rimesse dentro perché, dicevano, non trovavano l’appendice e, in più, bei 1o cm di squarcio sulla pancia. Sono ancora più distrutta. Oltre al danno, la beffa. Mi arrabbio, mi arrabbio moltissimo. Non è giusto! Non è giusto che per colpa di un inetto io non possa diventare madre. Mai, per tutta la vita.

E penso anche che non sono fatta per l’adozione: non ritengo che adottare un figlio sia il surrogato dell’avere un figlio naturale. Penso invece che si tratti di un immenso atto d’amore verso una creatura che decidi di accompagnare nella vita, trattandolo come un figlio. E io già stavo accompagnando la figlia di mio marito…

Decidiamo quindi di procedere con la Fivet. Quando inizi, non sai mai come va a finire. Magari si potesse sapere: ti toglieresti di dosso tutta l’ansia che sono anni che accumuli e affronteresti con gioia il percorso, sapendo che è la soluzione a tutti i tuoi problemi. E invece no. Vivo tutto con grande stress e autocommiserazione. Il sentimento peggiore. D’altronde sono bombardata dagli ormoni che devo prendere e che devo iniettarmi. Mi faccio le punture sulla pancia negli orari prescritti e, siccome è estate, mi capita persino di farlo nei bagni dell’aeroporto. Mi sento come se fossi una eroinomane che deve farsi le dosi.

Il mio umore è in balia delle onde. Passo da momenti di calma a scatti d’ira. Piango per ogni cosa, anche davanti ad uno spot pubblicitario. Cerco di non leggere il bugiardino dei farmaci per non vedere che gli ormoni sono cancerogeni. Ma poi penso: fosse pure l’ultima cosa che faccio, voglio mettere al mondo una mia creatura. Finita la stimolazione si procede con la raccolta degli ovuli. Ho rischiato l’iperovulazione. Procedono con la fecondazione in vitro. Mi dicono che devono congelare e che non possono impiantarmi subito gli embrioni percéè potrei rischiare anche la vita. Devo aspettare qualche mese. Un incubo. Ma poi, finalmente la luce. Faccio l’inseminazione e l’embrione si attacca!

È fatta, mi dico! E’ fatta! Ma il beta hcg cresce poco. Lo controllo ogni 10/15 gg e ogni volta, invece di vedere un valore che cresce in modo esponenziale, vedo un numero sì più alto ma di poco. Mi dicono che forse non serve a niente ma che se rimango a letto è meglio. Una infermiera gentilissima un giorno, per consolarmi, mi dice: “tenga duro, signora, vedrà che è un maschio. E lo sa come sono i maschi, no?! Ci arrivano, ma ci arrivano dopo!” Beh, aveva ragione lei! Sono stata a letto quattro mesi con continue contrazioni. Mio marito è stato meraviglioso, sempre. Amorevole e comprensivo. Senza il suo appoggio non ce l’avrei fatta. Al quinto, finalmente tutto si è normalizzato e ho potuto urlare al mondo la nostra felicità: “È un maschio!” È stata dura, è vero ma ne valeva mille volte la pena. Ora ha quattordici anni ed è la luce dei nostri occhi e della sorella!

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