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Perché a me… ma forse una speranza c’è

Sono Laura, ho 39 anni… 3 gravidanze perse e un continuo sogno di diventare madre.

20 anni…. seduta al tavolo per una normale cena di famiglia in un normalissimo giorno come tanti altri, ma non per me; quella sera avrei dovuto dire ai miei genitori che ero incinta da un ragazzo che frequentavo da 1 anno. La reazione non era ovviamente quella sperata. Urla, pugni sul tavolo, negazione totale. Non dovevo tenerlo punto. Quella era la decisione. Dopo aver urlato, pianto e preso il muro a pugni, mi presero di peso e mi portarono all’ospedale. Tutto era già stato programmato. La ginecologa mi disse che non avrebbero fatto il raschiamento per evitare problematiche future. Il corridoio bianco, le luci nel soffitto che scorrevano veloci, il freddo che mi abbracciava su quella barella. Poi entrata in una stanza, una puntura nel braccio, il sangue che zampillava… l’anestesista non era riuscita a prendere bene la vena. Piangevo volevo solo essere a cada mia. Pochi istanti dopo un’altra puntura… tutto diventava più sfuocato, più buio. Quando mi svegliai cominciai a piangere di nuovo, mi levarono le garze da dentro… la ginecologa mi disse che le dispiaceva ma aveva fatto il raschiamento. L’odio nasceva in me.. verso fi lei, verso i miei genitori. Morivo dentro ogni giorno poi dopo 1 anno rimasi nuovamente incinta dello stesso ragazzo.
Mi sedetti in quella stessa sedia, durante una normalissima cena in un normale giorno che per me era più.
Affrontai nuovamente il discorso ma questa volta non avevano di nuovo quel potere su di me. Passarono 10 settimane, accettarono la gravidanza ma una notte presa da forti crampi, mio padre mi portò all’ospedale…
“Signorina non c’è battito, cosa vuol fare?”
Vado a casa e aspetto che la natura faccia il suo corso risposi. Dopo 2 giorni, in bagno fra dolori immensi, persi definitivamente un altro figlio.
Passarono 15 anni e assieme al mio nuovo convivente decidemmo di cercare un figlio… dopo 4 mesi arrivò.
La gioia in famiglia. La mia più grande gioia nel cuore.
3° mese.. diagnosticate le 3 trisomie di down.
“Signora la bambina non sopravviverà al parto, la cosa migliore è interrompere la gravidanza”.
Il vuoto, semplicemente il vuoto… quella calma innaturale… poi il dolore lancinante.
Quel giorno sul quel nuovo lettino, in quei nuovi corridoi di quel nuovo ospedale ripercorrei ogni istante del mio doloroso passato misto a quel tragico e doloroso presente.
Candeletta inserita, travaglio avviato… poche spinte… poi l’anestesia e il buio.
Piansi giorni interi, notti intere. Chiusa su me stessa. Abbracciata al mio compagno che moriva assieme a me senza farmelo pesare. Incubi, torture visive e mentali quando cugine e amiche rimanevano incinte.
Odiavo ogni pancia, ogni neo mamma. Perché a me tutto questo? Quella frase la portai dentro di me sempre, per mesi e mesi. Poi qualcosa nella mia anima ha voluto lasciare andare quel dolore e festeggiare (anche con un punta di gelosia) le nuove nascite attorno a me. Quel lontano 2018 non è poi così lontano… oramai con questo fine 2023, sono 5 anni che continuiamo a provare e riprovare. A volte ho perso pure la speranza e mi sono messa l’anima in pace… oramai ho 40 anni… che metto a fare al mondo un figlio… poi quella voglia di diventare madre, di insegnarle/gli a vivere nel mondo, di farle/gli scoprire ciò che c’è di bello su questa terra…
Poi c’è questa idea della fecondazione… il mio compagno non vede l’ora… io sono fra il terrore e la consapevolezza di quel che vorrei. Ma sono sempre ferma qui… con analisi da fare, con cui faccio a tempi rallentati… e mi continuo a chiedere perché di ciò ed a sperare che ogni mese sia quello del miracolo.

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