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Come sono diventato padre

La gravidanza inizia con una foto. Non si fanno analisi del sangue, non si calcolano i periodi. Tutto è normale, i valori i soliti, niente nausee, nessun allarme, nessun test. Una mattina stai facendo il tuo lavoro e un numero sconosciuto ti appare sul cellulare; sei in udienza e riattacchi, non puoi rispondere. Passano pochi secondi ed ecco una nuova chiamata. Decidi che è meglio uscire per rispondere. La bella notizia è che c’è un bambino in Vietnam che ti sta cercando, la brutta notizia è che non puoi salire sul primo aereo da Fiumicino. Invece, devi andare in sede, e quindi benedici l’ennesima notifica andata a buca che non consente di fare il processo, l’udienza dura due minuti e sei fuori in macchina, passi a prendere tua moglie, che per pura coincidenza quella mattina doveva venire in centro, e vai. Lasci la macchina in un parcheggio a pagamento, senza curarti nemmeno di leggere le tariffe. Ti toccano oltre trenta minuti di attesa. Poi ti ricevono e ti dicono che ha un anno e che è maschio; la foto ancora non l’hai vista perché è sul computer della collega che sta ancora parlando con altre persone. Ti leggono la scheda medica in inglese, valori del sangue, morfologia, annotazioni, ti spiegano che qualche valore fuori range è assolutamente normale, il bimbo sta bene, non ha nessuna patologia grave e lì realizzi la prima cosa.

Quando, un anno prima, hai scelto loro per la pratica, dopo aver individuato il paese, la prima cosa è la check list: date alcune patologie frequenti in quel paese, quali di queste sei disposto ad affrontare: talassemia, epatite, HIV, piede torto, labbro leporino, ernia inguinale e compagnia bella. Sudi freddo quando compili quella lista, perché vorresti un figlio – sì, usi quella parola – sano, come gli altri (anche questo ti viene in mente, sei inesperto), ma sai anche che ogni esclusione ti allontana da lui, perché la disponibilità agli special needs, così li chiama la burocrazia, aumenta la platea e quindi aumenta le possibilità e diminuisce i tempi. Solo che in quel momento ti sembra impossibile affrontare certe cose, ti sembra impossibile anche solo pensarlo e cerchi un compromesso: ferme le patologie endemiche, cerchi di stringere sulle altre, lasciando qualcosa alla fortuna (non capiterà proprio a me, e poi alle brutte rinuncio…).

Quando arriva, la check list che hai compilato te la sei in larga parte dimenticata. Ti rendi conto che sei stato fortunato, sì qualche problema, ma nulla di patologico o incurabile, quella cosa nel peggiore dei casi necessita di un piccolo intervento, corri su google (errore) a cercare cosa significa, ma lo spettro è ampio, da niente alla sala operatoria. Ancora non l’hai visto e già sai che non fa niente. Poi vedi la fotografia. Ne vedi tre, con le tate intorno, in una è spaventato, in un’altra curioso, nell’ultima pensieroso. E capisci che in tre foto gli hanno fatto fare il percorso che tu hai fatto da un anno, fino a oggi, quando pensi e realizzi che sei stato fortunato è vero, ma che se anche quella cosa necessitasse di un intervento, non di meno non potresti più dire di no, nemmeno se fosse più grave, nemmeno se fosse irreversibile.

Perché la tua vita, quella che ti è toccata in sorte, tanto bella da poter aspettare una notizia da migliaia di chilometri con il cuore sereno, già non è più solo la tua vita; perché se è vero che tu potresti dire no, e continuare con la tua vecchia (già vecchia) vita, lui in ogni caso, che tu dica no o dica sì, dovrà necessariamente continuare con la sua nuova, nuovissima, vita, che non può rifiutare.

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