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Over 40…fuori tempo massimo?

“Signora, lei ha una riserva ovarica in.. riserva”. Ero seduta nello studio di un professorone e, questa volta, avevo portato il mio compagno. Neanche avessi avuto il presentimento che qualcosa sarebbe accaduto, che ci sarebbe stato un aneddoto da raccontare e nessuno mi avrebbe creduto. Non fossero state parole tristi da ascoltare, almeno per una donna, almeno per me, avrei trovato questa frase davvero comica. “Riserva ovarica in riserva”… Ma tant’è, ormai l’aveva detta e io mi sono domandata: “Cosa diavolo ci faccio qui?”. Poi ho guardato lui che mi era accanto, quasi a chiedere “Ma ho immaginato tutto?”. Ma lui non poteva capire, ha cercato di rincuorarmi, era sereno o forse fingeva di esserlo. Io, invece, ho provato solo tanta tristezza e rabbia.

Ho superato da qualche anno i 40, sono una donna appagata sul lavoro, guadagno discretamente bene, la mia vita mi piace così com’è. Allora perché ora, solo ora, ho sentito il desiderio di avere un figlio? Sorridevo quando sentivo parlare dell’orologio biologico, neanche li guardavo, io, i bambini. E adesso, invece, ci ero caduta in pieno.

E così, dopo due inutili anni di tentativi, ho deciso… Mi sono rivolta a specialisti per capire se ci fossero reali possibilità. Sono stata rivoltata come un calzino … Esami costosi, a volte dolorosi, spesso umilianti… non è bello sentirsi dire: “Eh signora, alla sua età… Perché si è decisa solo ora?”. Isterosalpingografia, post coital test, progesterone, estradiolo … Dopo mesi ero così preparata che avrebbero potuto darmi una laurea ad honorem in medicina, specializzazione ginecologia.

Poi, l’incontro decisivo: Mister G.

Meridionale, alla nostra prima conversazione telefonica mi è piaciuto all’istante. Aveva un modo di fare affabile, simpatico. E, in questi casi, l’empatia con i medici è tutto. Ti devi fidare ma, soprattutto, ti devono piacere perché, molto probabilmente, avrai a che fare con loro per giorni, settimane, mesi… Così, è iniziata la mia avventura nel mondo della fecondazione assistita. Un mondo fatto di mille punture e mille monitoraggi, grandi speranze e grandi frustrazioni.

Dopo un mese ero così esausta che, quando mi sono sottoposta al mio primo transfer, ho giurato a me stessa “O va questa volta, o mai più”
Ero così poco fiduciosa, ma anche allegramente serena. Finalmente l’incubo era finito! Finalmente mi riappropriavo della mia vita! Finalmente non sarei più andata tutti i giorni in quello studio medico ad aspettare il mio turno tra mamme pancione e coppie con lo sguardo basso e speranzoso allo stesso tempo! E, così, sono tornata a casa e ho organizzato su internet un viaggio per l’estate negli Stati Uniti.

Ma quel viaggio, evidentemente, non era ancora nel mio destino… Forse, un giorno, lo farò con lui che ora è accanto a me e dorme tranquillo nel passeggino. Forse ci andrà lui e mi racconterà i cieli, gli odori, la gente che incontrerà. Ma questa è un’altra storia…

Una risposta

  1. […] di una città fissa, di una casa….. I  ‘prima’ di un figlio sono sempre di più e il “fuori tempo massimo” trasforma il desiderio in colpa, come racconta Nina, in una delle storie pubblicate su […]

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